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Ristrutturazioni edilizie, danni all’immobile e responsabilità dell’appaltatore.

Pubblicato il 29/03/2017

Responsabilità dell'appaltatoreLa responsabilità dell’appaltatore scatta anche se i gravi difetti si riscontrano dopo i lavori di ristrutturazione.

È servito un intervento delle Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza n. 7756 del 27 marzo 2017, per chiarire (ndr: una volta per tutte?) che l’art. 1669 c.c. si applica anche in caso di lavori di manutenzione e non solo per nuove costruzioni.

La Cassazione ha affermato in particolare che l’art. 1669 c.c. è applicabile, ricorrendone tutte le altre condizioni, anche alle opere di ristrutturazione edilizia e, in genere, agli interventi manutentivi o modificativi di lunga durata su immobili preesistenti, che (rovinino o) presentino (evidente pericolo di rovina o) gravi difetti incidenti sul godimento e sulla normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest’ultimo.

 

La responsabilità dell’appaltatore. Casistica.

La sentenza della Cassazione è importante perché chiarisce l’ambito di applicazione dell’art. 1669 c.c. ma allo stesso tempo fornisce un lungo elenco di casi in cui è stata riscontrata la responsabilità dell’appaltatore, anche relativamente a lavori di manutenzione limitati solo a certe parti dell’immobile.
Così, sono stati inquadrati nell’ambito della norma in oggetto i gravi difetti riguardanti:

Secondo la Cassazione, dunque, sono gravi difetti dell’opera, rilevanti ai fini dell’art. 1669 e.e., anche quelli che riguardano elementi secondari ed accessori (come impermeabilizzazioni, rivestimenti, infissi ecc.) purché tali da compromettere la funzionalità globale dell’opera stessa e che, senza richiedere opere di manutenzione straordinaria, possono essere eliminati solo con interventi di manutenzione ordinaria.

 

Il normale godimento del bene

Quel che conta, secondo la Cassazione, per l’applicabilità o meno dell’art. 1669 c.c. e, dunque, per il riconoscimento della responsabilità aggravata dell’appaltatore, non è tanto l’incolumità di terzi, come in origine veniva interpretata la norma, quanto piuttosto la compromissione del godimento normale del bene.

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