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Aumento di capitale sociale e conferimenti non ancora eseguiti

Pubblicato il 18/06/2013

La disciplina in materia di società di capitali non ammette la possibilità di aumentare il capitale sociale nelle more dell’esecuzione di precedenti operazioni di aumento del capitale stesso.

Come afferma concordemente la dottrina (C. A. BUSI, Le novità in materia di aumento e di riduzione del capitale previste nella riforma, BDN RUN, 2003; B. QUATRARO, S. D’AMORA, R. ISRAEL, G. QUATRARO, Trattato teorico-pratico delle operazioni sul capitale, Tomo I, II ed., Milano, 2001, 166; F. FERRARA, F. CORSI, Gli imprenditori e le società, Milano, 1999, 623), la ratio di tale divieto è da ravvisare, in base all’art. 2438, comma 2, c.c., nella volontà del legislatore di impedire abusi nella gestione della società e quindi, in sostanza, nell’esigenza di tutelare, da un lato, i) l’interesse dei soci a non vedersi richiedere nuovi conferimenti fino a quando non sia stato interamente liberato il capitale sociale (originario o aumentato), dall’altro, ii) l’interesse dei terzi (creditori attuali o potenziali) ad impedire alla società di esporre un capitale che potrebbe essere parzialmente inesistente per l’eventuale insolvenza dei soci.

Sull’operatività del divieto, con particolare riferimento al momento in cui esso opera, sono ravvisabili due posizioni contrastanti: secondo un primo orientamento (B. QUATRARO, S. D’AMORA, R. ISRAEL, G. QUATRARO, op. cit., 167; F. DI SABATO, Manuale delle Società, Torino 2003, 399 ss.; S. PESCATORE, in Riforma del diritto societario, a cura di V. Buonocore, Torino 2003, 117; in giurisprudenza, Trib. Napoli 28 novembre 1985, in Le società, 1986, 404; Trib. Cassino 10 novembre 1990, in Le società, 1991, 613; App. Genova 21 ottobre 1999, in Le società, 2000, 440), formatosi nel vigore del testo normativo pre-riforma, l’impedimento all’emissione di nuove azioni sussisterebbe già all’atto della deliberazione dell’assemblea (o dell’organo amministrativo se delegato ai sensi degli artt. 2443 o 2481, comma 1, c.c.); tale posizione, in particolare, troverebbe conferma in quanto disposto dall’art. 2420 bis c.c., che prescrive che la deliberazione di emissione di obbligazioni convertibili non può essere adottata se il capitale sociale non sia stato interamente versato.

Di contrario avviso la dottrina più recente (C. CACCAVALE, La riforma della società a responsabilità limitata, Milano 2004, 590; B. QUATRARO, L’azione non liberata blocca i possibili aumenti, in Guida al diritto, Il sole-24 ore, Riforma delle società, Dossier n. 3, marzo 2003,19; F. MODULO, in A.a.V.v., La riforma delle società, a cura di M. Sandulli e V. Santoro, Torino, vol. 2/II, 906), secondo la quale il divieto in esame opera in sede di esecuzione o attuazione della delibera di aumento, e quindi solo nei confronti degli amministratori, ed unicamente nel caso in cui vi siano azioni o quote già sottoscritte ma non interamente liberate (non rilevando, dunque, la presenza di aumenti di capitale già deliberati ma non sottoscritti in tutto o in parte, ancorché pendente il termine finale di sottoscrizione dell’aumento).

Secondo tale orientamento, che trova conferma nelle massime della commissione studi del Consiglio notarile di Milano (Cons. not. Milano, massime n. 70 del 25 novembre 2005) ed in quelle della commissione societaria triveneto (Orientamento del Comitato Triveneto dei Notai in materia di atti societari, massima H.G.2 del settembre 2010, I pubbl. 9/04), la completa liberazione delle azioni o quote già emesse in precedenza funge da condizione sospensiva rispetto ai singoli atti esecutivi dell’aumento di capitale, rendendo così illegittimo il comportamento degli amministratori consistente i) nell’imputazione a capitale dei conferimenti eseguiti, ii) nell’attestazione, da parte degli amministratori, dell’avvenuta sottoscrizione dell’aumento, iii) nel deposito dello statuto riportante il nuovo ammontare del capitale sociale e, infine, iv) nell’emissione delle azioni o quote.

Si osservi, in particolare, che tale orientamento sostiene l’illiceità dei predetti atti sia nel caso venissero posti in essere contestualmente alla deliberazione assembleare di aumento, sia successivamente ad essa.

Ricostruito nei predetti termini il divieto di cui agli artt. 2438 e 2481, comma 2, c.c., non è, invece, inibito ai soci dichiarare, già in sede assembleare, la volontà di sottoscrivere e di effettuare il relativo versamento, né è inibito agli amministratori – e pertanto nulla osta anche alla relativa menzione nel verbale assembleare – dare atto di ciò durante la riunione della medesima assemblea che delibera l’aumento del capitale sociale, fermo restando che essi non possono dare esecuzione, nel senso anzidetto, all’aumento medesimo sino al verificarsi dell’evento condizionante.

Ancora, con particolare riferimento alla disciplina dettata in materia di s.r.l., la massima della commissione studi del Consiglio notarile di Milano in precedenza richiamata chiarisce anche che l’esecuzione dei conferimenti aventi ad oggetto prestazioni d’opera o di servizi a favore della società, ai sensi dell’art. 2464, comma 6, c.c., deve intendersi avvenuta una volta assunto l’obbligo da parte del socio e prestata la polizza di assicurazione o la fideiussione bancaria a garanzia dell’obbligo assunto dal conferente.

Ciò detto, è discusso in dottrina se le disposizioni di cui agli artt. 2438 e 2481, comma 2, c.c., siano applicabili i) solo alle ipotesi di aumento a titolo oneroso del capitale sociale ovvero ii) anche a quelle a titolo gratuito.

Nel primo senso si pongono quegli autori (V. BELVISO, Le modifiche all’atto costitutivo delle società per azioni, Torino, 1985, 91; P. MARCHETTI, Problemi dell’aumento di capitale nella pratica notarile, in AA.VV., Aumenti e riduzioni di capitale, Milano 1984, 56 ss.) che ritengono estranea alla ratio del divieto l’ipotesi dell’aumento a titolo gratuito in quanto tale operazione, avendo carattere meramente nominale e non reale, – ed essendo inoltre una deliberazione c.d. self executing autore (E. FAZZUTTI, Commento all’art. 2481, in La riforma delle società, a cura di M. Sandulli e V. Santoro, Torino, 2003, 185) -, non presuppone la richiesta di nuovi conferimenti ai soci, ma determina unicamente l’appostazione a capitale di somme già esistenti nel patrimonio sociale.

In senso positivo si pongono invece quegli alcuni autori (G. FRÈ, Società per azioni, in Commentario del cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1982, 775; F. FERRARA, F. CORSI, op. cit., Milano, 1999, 592 ss.) che fondano la loro posizione sulla genericità della prescrizione di legge, che non distingue tra tipologie di aumento (a titolo gratuito ovvero oneroso). Volendo accogliere questa tesi, il verbale dovrà riportare, per dichiarazione almeno del Presidente della riunione, anche l’attestazione che tutte le azioni emesse sono interamente liberate (così N. ATLANTE, Casi pratici in tema di aumento gratuito del capitale nelle società per azioni non quotate, in http://elibrary. fondazionenotariato.it).

Da segnalare, infine, la posizione (isolata) di un autore (C. CERA, Il passaggio di riserve a capitale, Milano, 1988, 44) che, per ammettere o meno l’operatività del divieto in esame all’aumento a titolo gratuito, distingue tra le modalità con cui lo stesso può essere realizzato, ossia mediante i) l’aumento del valore nominale delle azioni ovvero ii) l’emissione di nuove partecipazioni, ritenendo illegittima solo quest’ultima ipotesi.

Come evidenzia la dottrina (C. A. BUSI, op. cit., BDN RUN, 2003), non vi è alcun dubbio circa il fatto che la norma non trovi applicazione agli aumenti in natura e di crediti le cui azioni o quote corrispondenti devono “essere integralmente liberate al momento della sottoscrizione”.

Circa le conseguenze derivanti dalla violazione del divieto in esame, è solo la norma dettata in materia di s.p.a. a prevedere espressamente una sanzione, consistente nella responsabilità (che presuppone il dolo o la colpa) dei componenti dell’organo amministrativo, di natura solidale per il risarcimento dei danni arrecati ai soci ed ai terzi, aggiungendo inoltre che restano in ogni caso salvi gli obblighi assunti con la sottoscrizione delle  nuove azioni emesse.

In materia di s.r.l., invece, non è prevista alcuna disposizione analoga a quella di cui all’art. 2438, comma 2,  c.c., tanto da indurre parte della dottrina (C. CACCAVALE, op. cit., 591) a sostenerne l’applicabilità anche con riferimento alle società a responsabilità limitata.

Altra dottrina (C. A. BUSI, op. cit., BDN RUN, 2003), invece, afferma che la mancata indicazione della sanzione da applicarsi nel caso di violazione della norma, sia per quanto riguarda la responsabilità degli amministratori che per quanto riguarda le conseguenze sulla validità della delibera, non consenta l’estendibilità dell’ambito applicativo dell’art. 2438, comma 2, c.c., in considerazione del fatto che in materia di s.r.l. il legislatore ha dettato una norma particolare ossia l’art. 2467 che già tutela il soddisfacimento dei terzi creditori, postergando la soddisfazione dei soci a quella dei creditori ed assente, viceversa, nella s.p.a. Inoltre, la responsabilità degli amministratori discende pianamente dall’applicazione dell’art. 2476, per violazione di un dovere imposto dalla legge.