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Licenziamento illegittimo e art. 700 c.p.c. – Trib. Mantova, Sez. Lav., n. 547 del 4.10.2012

Pubblicato il 03/11/2013

art. 700 cpcLa recente sentenza del Tribunale di Mantova in commento affronta la questione dell’ammissibilità del ricorso al procedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. in caso di licenziamento del lavoratore.
Tale pronuncia, pur non affermando principi di particolare novità in materia di licenziamento del lavoratore, esamina tuttavia in maniera puntuale i requisiti per l’ammissibilità di tale procedimento anche in materia di lavoro.

 

Il fatto

Nel caso sottoposto all’esame del Tribunale il lavoratore, dopo aver affermato di essere stato illegittimamente licenziato dal datore di lavoro, chiedeva, con procedura d’urgenza ex art. 700 c.p.c., la reintegrazione nel posto di lavoro ex art. 18, L. 300/1970 e il risarcimento del danno conseguente.
Si costituiva nella causa il datore di lavoro chiedendo il rigetto del ricorso affermando che il ricorrente non aveva diritto ad essere reintegrato ex art. 18 poiché la società non aveva più di 15 dipendenti, ed inoltre, per la concedibilità del richiesto provvedimento d’urgenza difettava il periculum in mora, non potendosi ritenere sussistente tale requisito per il solo fatto della perdita della retribuzione, conseguenza naturale della risoluzione del rapporto.

 

La pronuncia

Il Giudice del Lavoro, Dott. Luigi Bettini, rigettava la domanda volta alla reintegra, sulla base dell’insussistenza del fumus boni iuris del diritto del ricorrente a chiedere l’applicazione dell’art. 18, L. n. 300/70.: la società convenuta occupava un numero di dipendenti non superiore a 15, soglia al di sotto della quale si applica esclusivamente la tutela obbligatoria di cui alla l. 604/66. Come afferma testulamente la sentenza, “anche quindi ad ammettere l’illegittimità del licenziamento, il diritto del ricorrente è comunque quello al mero risarcimento del danno, non anche alla reintegrazione nel posto di lavoro“.
Circa la domanda risarcitoria richiesta dal ricorrente, riqualificata in ipotesi come domanda volta alla condanna della società al risarcimento del danno ex art. 18, L. 300/70 ma ex art. 8, L. n. 605, il giudicante procedeva al suo rigetto per mancanza del presupposto del periculum in mora, che nel caso di specie non era stato provato, posto che il ricorrente si era limitato a dedurre l’impossibilità di mantenere se stesso e la propria famiglia in mancanza della retribuzione.

Il Tribunale afferma il principio secondo cui la perdita del diritto alla retribuzione non integra in re ipsail pregiudizio imminente ed irreparabile di cui all’art. 700 c.p.c., in quanto diversamente il ricorso ex art. 700 c.p.c. rischierebbe di costituire il rimedio ordinario nei casi di licenziamento illegittimo. Al contrario, l’esistenza del pregiudizio deve essere provata concretamente in relazione all’effettiva situazione economica complessiva del lavoratore, all’esistenza di spese indilazionabili e alla compromissione dell’equilibrio psico-fisico dello stesso, che nel complesso giustificano l’irreparabilità del danno che subirebbe il ricorrente.

Tale massima è da ritenersi condivisa sia da costante giurisprudenza di legittimità e di merito (Trib. Napoli, Sez. Lav., 21 luglio 2011; Trib. S. Maria Capua Vetere, Sez. Lav., 13 maggio 2010; Trib. Bologna, Sez. Prop. Ind., 14 aprile 2009; Trib. Trapani, Sez. Lav., 29 settembre 2008), che dalla dottrina, che reputano applicabili anche nella delicata materia in esame i principi generali di in tema di provvedimenti cautelari. Il ricorso alla procedura ex art. 700 c.p.c. non può essere legittimato da ogni violazione di diritti del lavoratore, ma solo in quei casi in cui il rimedio risarcitorio non sia adatto a riparare integralmente la lesione subita, oppure in quei casi in cui la lesione implichi un’irreversibilità degli effetti pregiudizievoli causati. In ciò si sostanzia il requisito del periculum in mora, che deve, conseguentemente e conformemente a quanto stabilito nella sentenza in commento, essere valutato caso per caso, in base a quanto dedotto dalla parte.

E ciò in quanto laddove, al contrario, si riconoscesse che la perdita della retribuzione sia atta di per se stessa a causare un pregiudizio economico o morale, si giungerebbe al risultato di snaturale la tutela cautelare, riducendola ad una tutela di merito in fatto alternativa a quella prevista e disciplinata dal codice di rito, posto che la valutazione del giudice si ridurrebbe ad un giudizio sulla sussistenza del fumus boni iuris.

È dunque necessario che il ricorrente ex art. 700 c.p.c. alleghi specificamente la natura del pregiudizio temuto e le ragioni della sua gravità ed irreparabilità, onde consentire al giudicante di verificare caso per caso se si prospetti “una situazione limite, per condotte non sanzionabili con il solo equivalente pecuniario, cui occorre ovviare con un immediato intervento giudiziario”.

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