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Successioni e polizze vita. – Cass. Civ. 10333 del 30 aprile 2018

Pubblicato il 07/05/2018

Le polizze vite sono da considerarsi tali solo se garantiscono la restituzione del capitale “investito” (e quindi sussiste l’effettiva natura assicurativa del prodotto), altrimenti sono contratti di investimento ordinari.
Lo ha stabilito la Cassazione con l’ordinanza n. 10333 del 30 aprile 2018, evidenziando il fatto che, al di là della denominazione che viene data alla polizza, ai fini della sua effettiva natura giuridica quel che conta nel contratto è l’individuazione dell’assunzione o meno del rischio da parte dell’assicuratore.
Da questo punto di vista, quanto affermato dalla Cassazione non costituisce una particolare novità, ponendosi questa ordinanza nel solco di altre pronunce precedenti (Cass. 6061/2012; Appello Torino, 16.11.2009).
Sono invece degni di nota i chiarimenti forniti dalla Suprema Corte circa le particolarità che sussistono nel caso di contratto sottoscritto da persone fisiche attraversa una società fiduciaria.

 

Polizze assicurative, contratti di investimento e società fiduciaria

Come si è anticipato, per la giurisprudenza di legittimità la polizza assicurativa sulla vita è (solo) quella in cui il rischio dell’assicurato, cioè l’evento relativo alla sua esistenza, è assunto dall’assicuratore.
Diverso è, invece, il caso in cui il rischio di performance viene completamente assunto dall’assicurato, trattandosi in quest’ultimo caso di un verso e proprio contratto di investimento finanziario, essendo di fatto completamente snaturata l’essenza del prodotto assicurativo propriamente inteso.

La Cassazione precisa in particolare che

mancando la garanzia della conservazione del capitale alla scadenza e dunque la natura assicurativa del prodotto, il prodotto oggetto dell’intermediazione doveva essere considerato un vero e proprio investimento finanziario da parte di coloro che figuravano come assicurati.

L’ordinanza 10333/2018 interviene anche sul punto del contratto assicurativo sottoscritto da persone fisiche attraverso una società fiduciaria: in tale ipotesi, dice la Cassazione, “investitore” non è la società quanto piuttosto la persona fisica fiduciante, cioè l’assicurato.

Ciò significa, e qui sta la novità della pronuncia, che l’adempimento degli obblighi dell’intermediario finanziario devono essere valutati nei confronti del fiduciante e non anche della società fiduciaria, con la conseguenza, da un lato, che la segnalazione dell’eventuale inadeguatezza dell’operazione deve essere indirizzata al cliente-fiduciante e, dall’altro, che la mancata adeguata informativa al cliente comporta la risoluzione del contratto con l’assicurazione, con la restituzione del capitale versato e il relativo risarcimento dei danni.

 

Le conseguenze dal punto di vista fiscale, successorio e di protezione particolare.

Nel caso in cui la polizza vita venga assimilata ad un vero e proprio investimento finanziario, sulla base dell’orientamento espresso dalla pronuncia della Cassazione, vi sono conseguenze importanti anche dal punto di vista fiscale, successorio e di protezione patrimoniale.
I prodotti assicurativi in questione, infatti, sono contratti di assicurazione aventi contenuto finanziario e le cui prestazioni sono direttamente collegate al valore di quote di fondi d’investimento, indici azionari (c.d. polizze unit linked) o altri valori di riferimento (c.d. polizze index linked).
I contratti “unit linked” o “index linked” si sostanziano nell’acquisto di uno strumento finanziario in cui il rischio (avente ad oggetto la cd. performance di quello strumento) è a carico del risparmiatore e dipende non dal fattore tempo, ma dalle dinamiche dei mercati mobiliari, dal rendimento del titolo e dalla solvibilità dell’emittente (Corte appello Torino, 16.11.2009).
Rispetto ad un investimento diretto in strumenti finanziari, attraverso tali prodotti il titolare può sfruttare il meccanismo del c.d. tax deferral, ossia la possibilità di differire la tassazione al momento del riscatto totale o parziale della polizza, con il vantaggio così di poter continuare a reinvestire anche la parte d’imposta annuale altrimenti dovuta.

Ai fini delle imposte indirette, il D.Lgs. 346/1990 (art. 12, I co., lettera c) stabilisce espressamente l’esclusione dalla formazione dell’attivo ereditario delle somme corrisposte agli eredi in forza di assicurazioni previdenziali obbligatorie o stipulate dal defunto. Ciò significa che tali somme dovute ai beneficiari in caso di morte dell’assicurato sono esenti dall’imposta di successione.
Tale vantaggio verrebbe, evidentemente, a cadere in caso di riqualificazione della polizza come prodotto finanziario.

 

Investimento finanziario? La polizza è revocabile e pignorabile

Se le conseguenze fiscali e tributarie sono certamente rilevanti, dal riconoscimento della natura finanziaria e di investimento della polizza potrebbe derivare anche la inapplicabilità dell’art. 1923 c.c., secondo cui le somme dovute dall’assicuratore al contraente o al beneficiario non possono essere sottoposte ad azione esecutiva cautelare.

Quindi, mentre le polizze assicurative sulla vita (che venissero effettivamente ritenute tali) sono sottratte ad azioni esecutive e cautelari, sono impignorabili e insequestrabili, e anche in caso di fallimento, potrebbero essere esenti da revocatoria, qualora al contratto non venisse riconosciuta alcuna natura previdenziale, ma solo quella di investimento, la polizza potrebbe essere assoggettata a pignoramenti, sequestri preventivi e conservativi.

 

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