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Sorveglianza degli incapaci e responsabilità del custode

Pubblicato il 15/05/2011

sorveglianza degli incapaciPer poter esaminare il problema della sorveglianza degli incapaci e le conseguenti responsabilità del custode, e, dunque, per l’esatta definizione del contenuto del dovere di vigilanza di cui all’art. 2047 c.c. occorre prendere in considerazione le circostanze specifiche (di tempo, di luogo, di ambiente, di pericolo) ed anche il grado e la natura dell’incapacità del sorvegliato.

In ogni caso, al custode non è  richiesta una ininterrotta presenza fisica accanto all’incapace, ogniqualvolta i rapporti di questi col mondo esterno appaiano, ragionevolmente, non costituire causa di nocumento per i terzi.
Presupposto di applicazione dell’art. 2048 c.c., è l’imputabilità e, quindi, la responsabilità solidale dell’autore diretto dell’illecito. Quando, invece, il fatto è commesso da persona incapace di intendere e di volere, del danno risponde, ai sensi dell’art. 2047 c.c., chi era tenuto alla sua sorveglianza, salva la prova di non averne potuto impedire la consumazione. Così, dell’illecito del minore in tenera età, privo della capacità di intendere e di volere, i genitori sono chiamati a rispondere non già quali esercenti la patria potestà, bensì nella loro veste di sorveglianti di soggetto non imputabile.

Il dovere di custodia va rapportato alla natura e al grado di incapacità del sorvegliato.

Vale la pena osservare che il fatto dell’incapace viene in rilievo oggettivamente, per la sua difformità dalla norma ovvero dal principio generale del neminem laedere, non già per la patologia del processo psicologico e volitivo dell’azione; ragion per cui si trova anche qui confermata l’idea di fondo che la funzione della responsabilità civile non è quella di sanzionare il comportamento antigiuridico, ma quella di risarcire chi ne è stato vittima.

La norma fa riferimento alla capacità naturale, con la conseguenza che, da un lato, non è esonerato da responsabilità l’interdetto o l’inabilitato che abbia commesso il fatto in un «lucido intervallo», dall’altro non può essere chiamato a rispondere del danno il soggetto che, al momento dell’illecito, versasse in uno stato di incapacità di intendere e di volere, anche se dipendente da situazioni transitorie di perturbamento psichico (art. 2046 c.c.), purché detto stato non dipenda da sua colpa.

La responsabilità in esame presuppone che il danno sia arrecato dall’incapace mediante un fatto obiettivamente illecito, ossia contenente tutti i requisiti, ad eccezione dell’imputabilità, idonei a integrare l’imputazione a carico dell’autore materiale del fatto. Ricorrendo tali condizioni, non vi può essere nessuna responsabilità del custode.