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Locazione e morosità, no all’obbligo di emettere la fattura però…
Le statistiche degli ultimi anni registrano un aumento sempre crescente degli sfratti per morosità.
Queste situazioni, oltre a costringere il proprietario a dover ricorrere alla procedura di sfratto per poter rientrare nella disponibilità del proprio immobile, determinano importanti conseguenze anche dal punto di fiscale, che è bene conoscere per evitare di incorrere in sanzioni.
Sull’argomento è intervenuta la recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 21621 del 23 ottobre 2015, che ha esaminato proprio gli aspetti fiscali della morosità, distinguendo tra imposizione diretta ed Iva.
Morosità, imposte dirette ed IVA
La morosità dell’inquilino comporta importanti riflessi nella sfera del proprietario, che si trova a dover gestire tale situazione anche dal punto di vista fiscale.
Dal punto di vista dell’imposizione diretta, in caso di morosità il canone di locazione deve essere comunque dichiarato anche se non percepito nella misura in cui risulta dal contratto, e questo fino a quando non il contratto non venga risolto o convalidato lo sfratto. Il richiamo fatto dalla Cassazione è all’art. 26 del TUIR, che stabilisce per le locazioni di immobili non abitativi che i redditi fondiari sono imputati al possessore indipendentemente dalla loro materiale percezione.
Pertanto, fino al momento in cui il contratto viene risolto, i canoni, anche se non percepiti, concorreranno alla formazione del reddito d’impresa.
Diversa la questione per quanto riguarda l’Iva. Infatti,
in caso di morosità del conduttore, il locatore non è tenuto ad emettere fattura e quindi a versare l’Iva.
Come chiarisce la Cassazione, per le locazioni, che costituiscono vere e proprie prestazioni di servizi nell’imposizione indiretta e armonizzata sul valore aggiunto, il momento impositivo coincide con l’incasso del corrispettivo. Per questo motivo
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