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Appalto, errori di progettazione e responsabilità – Trib. Reggio Emilia, 27.6.2014, n. 988
Nell’ambito del contratto di appalto, una delle questione di maggior interesse riguarda i profili di responsabilità “a cascata” che potrebbero essere individuati nei rapporti intercorrenti (sulla base, appunto del predetto contratto o di contratto d’opera) tra le varie parti (committente, appaltatore, progettista e direttore lavori) coinvolte nell’esecuzione dell’opera, che risulti in qualche modo viziata o difettosa.
Sull’argomento è intervenuta una recente sentenza del Tribunale di Reggio Emilia, n. 988 del 27.6.2014 (est. Morlini), la quale affronta ed esamina nel dettaglio proprio le posizioni dei vari soggetti, e le conseguenti (cor)responsabilità esistenti nei confronti del committente dei lavori.
Difformità e vizi dell’opera, garanzie e responsabilità.
Gli articoli 1667 e 1668 c.c. disciplinano la garanzia che l’appaltatore è tenuto a prestare per i vizi e le difformità dell’opera, indipendentemente dall’oggetto e dalla natura dei soggetti che concludono il contratto.
La presenza di un progettista potrebbe indurre a pensare che l’appaltatore possa andare esente da responsabilità verso il committente nel caso in cui i vizi e difetti siano riconducibili ad errori di natura progettuale.
Tuttavia, se, da un lato, l’appaltatore, oltre all’obbligo di eseguire l’opera, certamente non assume anche l’obbligo di garantire che l’opera stessa risulti immune da vizi o difformità, dall’altro lato, è altresì innegabile che è invece la stessa obbligazione di eseguire l’opera che ha per suo contenuto di eseguirla senza difetti o difformità; se ciò non avviene si ha inesatto adempimento.
Per essere esentato da responsabilità, in particolare, l’appaltatore dovrà dimostrare che:
– i vizi o difetti dell’opera siano dovuti a caso fortuito, o
– che, se dipendenti da errori di progettazione, gli errori stessi non potevano essere riconosciuti con l’ordinaria diligenza richiesta all’appaltatore stesso, ovvero
– nel caso in cui, pur essendo gli errori stati prospettati e denunciati al committente, questi ha, comunque, imposto l’esecuzione del progetto (ed in tale eccezionale caso l’appaltatore ha agito come nudus minister, a rischio del committente e con degradazione del rapporto di appalto a mero lavoro subordinato).
Salvo le ipotesi di (singole) esenzioni da responsabilità, di cui si è detto, tutte le parti sono obbligate solidalmente al risarcimento nei confronti del committente, essendo sufficiente a tale fine che le azioni o le omissioni di ciascuna di esse abbiano concorso in modo efficiente a produrre l’evento, a nulla rilevando che costituiscano autonomi fatti illeciti o violazioni di norme giuridiche diverse (in tal senso, Cass. n. 1114/86, Cass. n. 4356/80).
Nel caso di vizi dell’opera derivanti da una carente progettazione, l’appaltatore risponde, dunque, in solido col progettista, sia nel caso in cui si sia accorto degli errori e non li abbia tempestivamente denunciati, sia nel caso in cui, pur non essendosi accorto degli errori, lo avrebbe potuto fare con l’uso della normale diligenza.
Analogamente, per quanto riguarda la posizione del direttore dei lavori, egli è tenuto a rispondere nei confronti del committente, certamente nel caso in cui i vizi dell’opera derivino dal mancato rispetto del progetto, e ciò a titolo di culpa in vigilando(posto che tra gli obblighi del direttore stesso vi è quello di riscontrare la progressiva conformità dell’opera al progetto); il direttore lavori risponde, anche, in solido con progettista e appaltatore, anche nel caso i vizi derivino da carenze progettuali, posto che è suo obbligo quello di controllare che le modalità dell’esecuzione dell’opera siano in linea non solo con il progetto, ma anche con le regole della tecnica, fino al punto di provvedere alla correzione di eventuali carenze progettuali.
La pronuncia in oggetto, infine, dopo aver individuato e chiarito le posizioni di tutte le parti coinvolte, definisce anche “a cascata” la misura delle responsabilità di ognuna di essa.
Sulla base di quanto indicato dal CTU, partendo dal danno complessivo patito dal committente, opportunamente il giudicante stabilisce (in misura percentuale) la misura del diritto di regresso di ciascuna parte nei confronti dell’altra, giungendo così, in buona sostanza, ad addebitare singolarmente il contributo causale alla produzione dell’evento dannoso.
Si ritiene opportuno evidenziare, inoltre, che, salvo casi eccezionali, l’errore di natura progettuale non può comunque dar luogo al c.d. concorso colposo del creditore (art. 1227 c.c.), dal momento che le singole obbligazioni, – , ciascuna con le proprie specificità -, assunte dalle parti nei confronti del committente consistono proprio nella realizzazione dell’opera a regola d’arte (e, presuppongono, dunque, anche la capacità di valutare l’errore progettuale).
L’eliminazione dei vizi dell’opera
La sentenza del Tribunale di Reggio Emilia interviene anche sulla questione del riconoscimento dei vizi da parte dell’appaltatore.
In linea con la consolidata posizione della giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ., Sez. III, 20.4.2012, n. 6263), la pronuncia in commento afferma il principio secondo cui l’impegno dell’appaltatore di provvedere all’eliminazione dei vizi dell’opera, che può anche essere assunto tramite comportamenti concludenti, implica il riconoscimento unilaterale dell’esistenza dei vizi stessi, e dà vita ad un’obbligazione nuova rispetto a quella ordinaria, svincolata dai termini di decadenza e di prescrizione di cui all’art. 1667 c.c. e soggetta invece all’originaria prescrizione decennale.
Il riconoscimento operoso (per facta concludentia, attraverso un’attività diretta alla riparazione ed eliminazione dei vizi medesimi) dei vizi dell’opera da parte dell’appaltatore non rappresenta un quid novi con effetto estintivo/modificativo della responsabilità, ma costituisce, piuttosto, un quid pluris (un comportamento finalizzato all’esatto adempimento della prestazione e a fare ottenere al committente il risultato che egli aveva diritto di conseguire stipulando il contratto di appalto), che serve ad ampliarne le modalità di attuazione, nel senso di consentire al committente di essere svincolato dalle condizioni e dai termini di cui all’art. 1667 c.c., come la prescrizione biennale, applicandosi le regole generali, come la prescrizione decennale.
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