pubblicazioni

Pubblicazioni

Il nuovo “consumatore”

Pubblicato il 20/01/2014
consumatoreLa nozione di consumatore comporta un complesso lavoro di ricostruzione sistematica, in quanto identificare il soggetto implica, quale conseguenza necessaria,  di delimitare l’ambito di applicazione della disciplina di protezione.
La Convenzione di Bruxelles del 1968 descrive il consumatore come quella persona che agisce “per un uso che possa essere estraneo alla sua attività professionale” (art. 13).
Tale definizione, ripresa da tutta la successiva legislazione comunitaria, evidenzia chiaramente la distinzione cardine in questa materia, che esclude l’attività professionale dall’ambito di tutela e ricomprende in esso quella privata.

Anche la disciplina consumeristica italiana pone alla propria base tale distinzione; ad esempio il Codice del Consumo definisce come consumatore “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta” (art. 3).
Ad ogni modo, anche se sostanzialmente omogenea nei vari interventi legislativi succedutisi, la nozione di consumatore non è chiara ed univoca, ma conserva un alone di ambiguità.
Oltre alle incertezze derivanti dalla formulazione della definizione, ulteriori incertezze discendono dalla presenza all’interno del Codice del Consumo di diverse nozioni di consumatore, che si specializzano e connotano in relazione al settore a cui vengono riferite (vd. artt. 5 Cod. Consumo, relativo alle informazioni commerciali, l’art. 18 in materia di pubblicità ingannevole e l’art. 83 in ambito di servizi turistici).

Un esempio evidente dell’incertezza definitoria, discende dalla nozione sopra riportata di cui all’art. 3, Cod. Cons. per quanto riguarda la “eventualità” della natura imprenditoriale, commerciale o artigianale dell’attività svolta.
Grazie a tale precisazione, infatti, si garantisce tutela anche a quel soggetto professionale che nel singolo caso specifico agisce per uno scopo estraneo alla sua professione e la qualifica di consumatore sembra, dunque, essere una qualità attribuita o meno allo stesso in relazione al singolo atto.

In Italia, peraltro, diversamente da quanto previsto in altri stati europei quali Inghilterra, Francia e Spagna, si considera consumatore esclusivamente la persona fisica. A tal riguardo è interessante notare che l’applicazione della disciplina del consumatore al condominio è consentita in quanto, pur in presenza di un amministratore professionista, mandatari e quindi parti nei contratti, sono i singoli condomini in quanto persone fisiche (si veda, infatti, l’ordinanza Cass. civ. Sez. VI, Ord., 25-05-2011, n. 11486, nella quale si sottolinea che la disciplina consumeristica si applica al condominio in quanto siano consumatori i soggetti che lo costituiscono, qualifica da escludersi nel caso concreto, in quanto condomino proprietario di più della metà dell’immobile l’INPDAP).


Attività estranea alla scopo professionale 

Esaminando più nello specifico la questione dell’estraneità allo scopo professionale, si noti come essa ruota intorno all’inquadramento soggettivo delle parti coinvolte, essendo essenziale capire, di volta in volta, quando il soggetto agisce per scopi professionali oppure, al contrario, per ragioni estranee all’esercizio della professione.

Dottrina e giurisprudenza hanno formulato due diversi criteri definitori: il primo si basa sull’analisi, mediante un criterio soggettivo, dello scopo perseguito dal contraente interessato al bene o al servizio.
Prescindendo dall’effettiva e concreta destinazione dell’oggetto del contratto all’attività professionale eventualmente svolta, occorrerebbe, secondo questo primo metodo, valutare le intenzioni del contraente e i motivi per cui lo stesso decide di concluderlo; in questo modo sarebbe possibile applicare la disciplina di protezione tutte le volte in cui il contratto risulti stipulato per ragioni soggettive estranee all’attività professionale o imprenditoriale svolta.
Tuttavia tale metodo “soggettivo” risulta scarsamente utile, anche alla luce della difficoltà di portare alla luce le motivazioni psicologiche che possono indurre il consumatore a contrarre.
È stata, quindi, preferita la tesi oggettiva, che pone al centro la strumentalità del contratto rispetto alla realizzazione di esigenze estranee all’attività imprenditoriale eventualmente svolta dal consumatore, identificando, quindi, l’elemento distintivo nella destinazione funzionale del bene all’attività professionale.

Alla luce di quanto sopra potrà, quindi, definirsi “consumatore” il soggetto che acquista un bene/servizio non legato all’attività professionale svolta.
La Suprema Corte ha più volte confermato tale conclusione, ritenendo applicabile la normativa di tutela una volta accertata la destinazione del contratto come esterna all’attività professionale/imprenditoriale.
Ciò posto, tuttavia, si pone il problema di qualificare quei casi in cui il contratto sia finalizzato sia al privato consumo del soggetto (o della sua famiglia) sia alla sua attività professionale.
In tali ipotesi si parla di consumatore “prevalente” e tale è proprio il criterio indicato da parte dottrina, che risolve la questione con la valutazione della maggiore incidenza di una finalità rispetto all’altra.
Secondo altra dottrina si dovrebbe far ricorso al criterio dell’essenzialità, applicando la normativa di tutela se il contratto è stipulato per ragioni che sono “essenzialmente” estranee all’attività d’impresa.
Tuttavia, come già detto, tali criteri peccano di “soggettivizzazione”, essendo, al contrario, rilevante piuttosto l’utilizzo concreto del bene.
In tale dibattito, tuttavia, è intervenuta la Direttiva 2011/83/UE, che prevede che “nel caso di contratti con duplice scopo, qualora il contratto sia concluso per fini che parzialmente rientrano nel quadro delle attività commerciali della persona e parzialmente ne restano al di fuori e lo scopo commerciale sia talmente limitato da non risultare predominante nel contesto generale del contratto, la persona in questione dovrebbe altresì essere considerata un consumatore (considerando n. 17)” e sembra dare rilevanza unicamente ai fini per i quali agisce il soggetto.

Si noti, inoltre, che la disciplina di tutela del consumatore posta agli artt. 33 ss. Cod. Cons. si applica in conseguenza esclusiva della qualifica dei soggetti, prescindendo, ad esempio dal tipo contrattuale posto in essere e dalla natura della prestazione oggetto del contratto, trovando applicazione sia in caso di predisposizione di moduli o formulari in vista dell’utilizzazione per una serie indefinita di rapporti che di contratto singolarmente predisposto per uno specifico affare, salvo che tra le parti vi sia stata idonea trattativa.
Tale trattativa, infatti, conseguente al riequilibrio delle posizioni contrattuali, se svolta in modo idoneo, esclude di per se la posizione di debolezza intrinseca nel consumatore.