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Canoni di locazione non pagati e tasse: come tutelarsi?
Se il conduttore – inquilino non paga i canoni del contratto di locazione, per il proprietario di casa cominciano i problemi.
Dovrà rivolgersi ad un avvocato per la procedura di sfratto (con i relativi costi e tempi) e, come se non bastasse, dovrà comunque dichiarare al fisco i canoni di locazione anche se non percepiti. Per essere chiari… il proprietario dovrà comunque pagare le tasse sugli affitti non percepiti.
È possibile superare questo problema? Ne abbiamo parlato anche in altri precedenti articoli, cerchiamo ora di esaminare quali avvertenze è opportuno avere dal punto di vista contrattuale per risolvere la questione dei canoni di locazione non pagati.
Quali tutele per il proprietario?
Nel momento in cui il proprietario dell’immobile e l’inquilino firmano il contratto di locazione si presta particolare attenzione a tutti gli aspetti relativi ai pagamenti, alle condizioni dell’immobile, alla durata del contratto, ma spesso si dimentica di considerare (e regolamentare) alcune questioni, tra cui quella fiscale relativa ad eventuali canoni non pagati, che potrebbero avere conseguenze anche particolarmente dannose.
Come abbiamo già anticipato, il fatto che l’inquilino sia moroso non esime il proprietario dell’immobile dal pagare le imposte sui canoni, anche se non percepiti. Questo perché fino a quando è in vita il contratto di locazione un canone è dovuto, e dunque deve essere tassato.
Per poter evitare tale problema è necessario, dunque, che il contratto venga risolto con la convalida dello sfratto, con la diffida ad adempiere o inserendo nel testo del contratto una clausola risolutiva espressa.
La clausola risolutiva espressa
La clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.) è una particolare clausola che le parti possono inserire nel contratto di locazione che ha l’effetto di poter risolvere il contratto in dipendenza del mancato pagamento di alcune mensilità.
Questo significa che, se il proprietario intende avvalersi di tale clausola, non dovrà più versare le imposte sui canoni non percepiti successivi alla risoluzione.
Infatti, una volta risolto il contratto, le somme che dovrebbe pagare il conduttore non vengono più considerate come canoni di locazione ma hanno, invece, natura risarcitoria (e come dice la Corte Costituzionale (n. 362/2000), non possono essere assoggettate alla regola eccezionale della determinazione del reddito dei fabbricati attraverso il canone di locazione, in sostituzione dell’ordinario reddito medio catastale.
Si tenga presente che, in ogni caso, la prova della risoluzione del contratto di affitto deve essere data in maniera rigorosa, ossia attraverso documentazione avente data certa con la quale il locatore dimostri l’inadempimento del conduttore e la volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa pattuita contrattualmente.
Inoltre, la risoluzione di diritto del contratto potrà aversi anche attraverso la diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c. (https://www.studiolegalemagri.it/pubblicazioni/diffida-ad-adempiere-e-rappresentanza.html) o lo scadere di un termine essenziale).