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Fisco e fondo patrimoniale, una partita continua! Chi vince e chi perde?
Quella dei rapporti tra fisco e fondo patrimoniale è una delle questioni sulla quale, prima o poi, si concentrano le attenzioni di chiunque intende utilizzare questo particolare strumento per la tutela del proprio patrimonio.
Intendiamo riferirci, ovviamente, agli utilizzi leciti del fondo patrimoniale e non certo a quelli aventi finalità vietate dal nostro ordinamento.
Il fondo patrimoniale è disciplinato dagli articoli 167 e seguenti del codice civile, che prevede che esso possa essere costituito da ciascuno dei coniugi o da entrambi, per atto pubblico, oppure da un soggetto terzo anche per testamento, al fine di destinare determinati beni al soddisfacimento dei bisogni della famiglia.
La vera particolarità del fondo patrimoniale consiste nel fatto che
l’esecuzione sui beni del fondo non può avere luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni di famiglia
(art. 170 c.c.).
Proprio per le sue caratteristiche, nell’ambito delle soluzioni proponibili ai clienti circa lo strumento più idoneo al fine di raggiungere obiettivi di tutela patrimoniale, il fondo patrimoniale ricopre un ruolo di primo piano.
Fisco e fondo patrimoniale. Dalla Cassazione uno stop all’ipoteca dell’erario.
Alla luce dei principi appena richiamati, è evidente che qualora un creditore cerchi di aggredire i beni del fondo patrimoniale, la partita si giochi sulla natura estranea o meno dei debiti rispetto alle esigenze familiari.
Così come in una precedente pronuncia che avevamo analizzato, con la recente ordinanza n. 5369 del 27 febbraio 2020, la Cassazione torna ancora sull’argomento respingendo le pretese dell’Agenzia delle Riscossioni e segnando un punto a favore del fondo patrimoniale.
Il caso è quello di un contribuente che, nel 1995, aveva conferito in fondo patrimoniale alcuni beni, sui quali l’Erario aveva poi iscritto ipoteca.
Proprio sui principi richiamati si articola la recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 5369/2020 del 27 febbraio scorso che analizza il caso di un contribuente che si era visto iscrivere ipoteca di matrice erariale su alcuni beni compresi in un fondo patrimoniale costituito nel lontano 1995.
Ivi si statuisce che l’Agenzia della Riscossione non può iscrivere ipoteca sui beni del fondo patrimoniale se il debito del contribuente deriva dalla sua partecipazione societaria e non è stato contratto per soddisfare i bisogni della famiglia.
Un piccolo imprenditore si era indebitato con il Fisco per via di una partecipazione societaria che non era il suo sostentamento ma semplicemente un investimento finanziario e, per meglio proteggersi anche dai rischi erariali, aveva destinato i suoi beni in un fondo patrimoniale. Dopo la notifica di un accertamento l’Ader aveva avviato la procedura di riscossione con l’iscrizione dell’ipoteca ma, anche ad avviso degli Ermellini che hanno confermato il giudizio di appello, la contribuente ha provato che i beni, oltre a far parte del fondo patrimoniale, fossero anche intangibili per l’estraneità dei debiti alle esigenze della famiglia e, ulteriormente, che l’Amministrazione finanziaria fosse in condizioni di rendersi conto di tale estraneità, desumibile dal fatto stesso che si trattava di debiti derivanti dalla partecipazione quale mero socio di capitali ad una certa società, investimenti distinti dalla attività lavorativa principale svolta nell’ambito di altra ditta da cui la famiglia dell’imprenditore traeva sostentamento.
Da quanto osservato, discende che se un contribuente dimostra che:
a) i beni fanno parte del fondo patrimoniale (avendone fornito la ricorrente opportuna documentazione);
b) vi è estraneità dei debiti alle esigenze di famiglia;
c) si riscontra una effettiva possibilità da parte dell’Amministrazione Finanziaria di rendersi conto di tale estraneità, essendo, ad esempio, desumibile tale aspetto dalla circostanza che il debito fiscale sia derivante dalla posizione di mero socio di capitale all’interno di una società, distinguendosi la stessa rispetto all’attività lavorativa di effettivo sostentamento familiare,
per i giudici di legittimità sui quei beni non può iscriversi ipoteca.
Infatti, il criterio identificativo dei beni nei confronti dei quali può avere luogo l’esecuzione deve essere ricercato “non già nella natura dell’obbligazione”, ma nella relazione che intercorre tra il fatto generatore dell’obbligazione ed i bisogni della famiglia. Tale legame non può ritenersi sussistente per il semplice fatto che il debito derivi dall’attività professionale, piuttosto che da quella di impresa, “dovendosi accertare che l’obbligazione sia sorta per il soddisfacimento dei bisogni familiari e non per esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi”.
Si pensi, allora, al caso in cui un contribuente fosse socio di una società di capitali a ristretta base azionaria ove, in caso di accertamento di utili non contabilizzati, può ben operare la presunzione semplice di attribuzione “pro quota” ai soci degli utili stessi e da ciò ne consegue un accertamento del maggior reddito che deriva dai dividendi che si presumono percepiti.
In altri termini, un socio di società di capitali a ristretta base sociale può essere accertato prendendo come riferimento i maggiori ricavi extracontabili accertati in capo alla società, presumendo che quanto accertato in capo alla società sui maggiori ricavi non contabilizzati sia stato integralmente distribuito ai soci.
Tuttavia, l’art. 170 c.c., nel disciplinare le condizioni di ammissibilità dell’esecuzione sui beni costituiti nel fondo patrimoniale, detta una regola applicabile anche all’iscrizione di ipoteca non volontaria, ivi compresa quella di cui all’art. 77 del dpr. n. 602 del 1973, cosicché l’esattore potrà iscrivere ipoteca su beni conferiti nel fondo solo se il debito sia stato da loro contratto per uno scopo non estraneo ai bisogni familiari.
Sembrerebbe, quindi, sempre illegittima l’eventuale iscrizione effettuata su beni conferiti in un fondo da un debitore erariale (mero socio investitore di una srl a ristretta base partecipativa accertata per presunta distribuzione di utili extra-contabili), qualora quel contribuente avesse anche un’altra attività imprenditoriale/professionale da cui ritrae le risorse per il sostentamento familiare.
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