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Il compenso dell’amministratore di sostegno. O l’indennità?

Pubblicato il 18/05/2010

Il Tribunale di Mantova, Sez. Distaccata di Castiglione delle Stiviere, interviene con un’interessante provvedimento del 18 maggio 2010 sulla questione dell’indennità spettante all’amministratore di sostegno.

Si tratta di un aspetto non espressamente disciplinato dalle disposizioni in materia e per la cui regolamentazione è dunque necessario rifarsi a quanto stabilito dal codice civile in tema di tutela. Il punto è quello riguardante la determinazione (e conseguente liquidazione) di un’indennità all’amministratore di sostegno per l’attività da esso svolta a favore del beneficiario.

Si tratta di un’indennità (o indennizzo) o di un vero o proprio compenso?

 

La normativa

In particolare, l’art. 379 c.c., dettato in materia di tutela ma applicabile anche all’amministrazione di sostegno, in virtù del rinvio ad esso operato dall’art. 411 c.c., fissa il principio della gratuità dell’ufficio, come espressione tipica del dovere sociale verso gli incapaci (Relazione al progetto definitivo al codice civile, pag. 369): la tutela così come l’amministrazione di sostegno assumono, infatti, il carattere di munus publicum o di “ufficio di diritto privato permeato di significativi interessi pubblicistici” (G.T. Modena, 2.11.2005, Dott. Stanzani), essendo destinati a realizzare in via mediata l’interesse generale della collettività alla protezione degli incapaci.

Doverosità sociale, dunque, da cui discende la gratuità dell’ufficio.

Il secondo comma dell’art. 379 c.c. attenua tuttavia il contenuto del suddetto principio della gratuità, disponendo espressamente che, in ogni caso, il giudice tutelare, “considerando l’entità del patrimonio e le difficoltà dell’amministrazione, può assegnare al tutore (n.d.r.: e all’amministratore di sostegno) un’equa indennità”. Prima dell’introduzione della figura dell’amministrazione di sostegno, la dottrina prevalente, fondandosi su di un’interpretazione letterale dell’art. 379 c.c. (“considerando l’entità del patrimonio e le difficoltà dell’amministrazione”), considerava ammissibile tale deroga (ossia la concessione dell’indennità) solo per attività aventi ad oggetto l’amministrazione del patrimonio, non anche per quelle relative alla cura della persona, ritenendo che in quest’ultima ipotesi non venissero in considerazioni aspetti in qualche modo meritevoli di indennizzo.

A seguito dell’entrata in vigore della l. 6/2004, l’applicabilità della norma richiamata nei limiti appena espressi, ossia con pressoché esclusivo riferimento all’amministrazione patrimoniale, è apparsa da subito insoddisfacente, e ciò in considerazione del fatto che nella figura dell’amministratore di sostegno confluiscono in maniera pressoché inscindibile aspetti relativi sia alla cura del patrimonio del beneficiario che della sua persona.

Con l’amministrazione di sostegno al centro dell’attenzione del legislatore, e quindi conseguentemente, del giudice, non vi è più (solo) il patrimonio (da preservare), ma piuttosto la persona (da proteggere e valorizzare). Tale cambio di prospettiva è stato da subito evidenziato anche dalla giurisprudenza, la quale, proprio in materia di indennità, nei primi tempi di applicazione della nuova legge, ha affermato che

«all’amministratore di sostegno deve essere corrisposta un’equa indennità connessa in via primaria alle esigenze di cura e di tutela della persona, in via secondaria all’entità del patrimonio e alle difficoltà incontrate nell’amministrazione dello stesso, alla durata dell’incarico, ai risultati conseguiti» (Trib.  Modena, 23 novembre 2005, G.T. Stanzani).

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